mercoledì 30 giugno 2010

Valhalla Rising - recensione

Un gruppo di grezzi vichinghi porta in tounée un silenzioso e imperscrutabile schiavo guercio specializzato nell'omicidio. Ma il brutale combattente riesce a liberarsi trucidando i suoi aguzzini, risparmiando solo un innocente ragazzetto. E arrivati a questo punto come rifiutare l'offerta di un perfetto sconosciuto di partire per la Terra santa?? E via, verso nuovi orizzonti.

Con questa premessa puzzerebbe tantissimo di Pathfinder vero?? Spadoni, pettorali, gnocca generica, trama casuale e ammazzare i cattivi!! Invece è totalmente un'altra cosa.
Per cominciare non è un film made in USA, è danese, e come se non bastasse è di Refn (Bronson). Ok, quindi niente guerrieri vikinghi fikissimi che fanno Wolverine, niente spade giganti, niente patria e onore, niente riscoperta dei buoni sentimenti, niente gnocca di turno, niente cattivi brutti e neri, niente recensione superfunny sul blog di Whisky Wonka.

Lento, crudo, criptico. Fine.

Va visto in inglese perché in Italia non è uscito né si prevede una data di uscita. Comunque i dialoghi sono pochissimi e insignificanti, tipo "One Eye's gonna kill us all".. insomma, approcciabile un po' da tutti.

Trasuda realismo, storicità e psico-sbroccamenti vari da tutti i tatuaggi celtici. Incredibilmente nello stesso film stanno tutte queste cose: la cruda violenza estrema, i vichinghi (ma vi rendete conto, i vichinghi!), il ritmo lentissimo e un mare di cose concept che non ti fanno capire una mazza. Già, perché alla fine si capisce poco nulla (salvo forse sparandosi un seminario di leggende norrene. Fooorse).

Comunque visto che tendenzialmente chi vuole il medioevo non vuole le menate criptiche d'essai e chi vuole le menate criptiche d'essai non vuole il medioevo (o almeno di sicuro non nello stesso film), Valhalla Rising lascerà tutti perplessi e indecisi se etichettarlo come pura arte visiva o come grandissima minkiata.

Personalmente scelgo di non scegliere e mi godo questa duplicità tutta insieme.

Decisamente consigliato a chi apprezza cose diverse dal solito e si è rotto le balle degli stereotiponi sia del cinema grezzo che di quello concettuale.

Decisamente sconsigliato a chi non vuole sentirsi sballottato tra due realtà.

Voto: astenuto, ma gran figata

giovedì 17 giugno 2010

Robin Hood - recensione

Lui fa sempre breccia se dall'arco scaglia una freccia, Cantagallo, Littlle John, Fra Tuck, Morgan Freeman, il subdolo sceriffo e i suoi stupidi scagnozzi, Re Riccardo e il Principe Giovanni, Lady Marian, urca urca tirulero e la sicura alla vecchia Betsy.. La storia la sappiamo tutti.

Proprio perché la storia la sappiamo tutti, le menti diaboliche che hanno creato questo film ne hanno fatto una specie di X-Men origins: Robin Hood, con una rilettura della nascita del supereroe medievale un po' in stile origins dei fumetti.

Quindi non c'è da aspettarsi la solita Foresta di Sherwood e il brigantaggio, nè la solita brillantezza dell'eroe calzamagliuto. Anche la tanto acclamata sete di ribellione in realtà non c'è in questa parte della storia, serve solo per porre le basi per i futuri avvenimenti.

Abbiamo un arciere a caso che per una serie di sfortunati eventi ruba l'identità di un nobile e si prende talmente bene in questo ruolo da difendere la propria terra fino alla guerra, scoprendo piano piano la verità sulla propria travagliata infanzia (qualcuno ha sentito uno snikt?).

Tra gli obiettivi principali del film credo ci sia quello di restituire un po' di storicità e filologia alla vicenda, e direi che è stato raggiunto, evitando le solite calzamaglie e i soliti Re Riccardi che tornano benevoli a benedire matrimoni. Già, niente Sean Connery né leoni pseudo-Mufasa. Re Riccardo MUORE! E non è spoiler, è storia! Ecceccaxxo.

La trama è carina, ambientazione, costumi e filologia in generale sono ben curati. Il realismo è poco, ma si sa che di realismo nei film pseudo-storici non ce n'è mai.

Menzione particolare a Lady Marian, Cate Blanchett è la cosa più originale del film (tranne l'improbabile finale Peter Pan).

Aspettandomi effetti tipo "Mi chiamo Robin Decimo Meridio!", sono rimasto piacevolmente stupito dalla poca Gladiatoritudine del film.

Voto: 7

venerdì 11 giugno 2010

The Road - recensione

In uno scenario post-apocalittico padre e figlio viaggiano verso una più o meno ideale salvezza attraversando devastati e ingrigiti paesaggi statunitensi. In questo grande deserto urbano non esistono più animali e le piante stanno lentamente morendo, gli altri pochi esseri umani, spinti al cannibalismo dalla fame, sono il pericolo principale.

Vengono fatti solo brevi accenni all'evento che ha distrutto il pianeta, tutta la componente Voyager è lasciata grandemente in secondo piano. L'attenzione si concentra totalmente sui due personaggi principali e il loro viaggio, tirando delle botte empatiche di disperazione e desolazione pazzesche.

La forza del film sono la crudezza e la poca retorica, non esistono falsi facili romanticismi né falsi facili eroismi o cacchiate varie. L'essere umano è dipinto spietatamente nella sua natura più animalesca e tremendamente realistica. Nulla è estremizzato, non ci sono cattivi punkettoni palestrati e tatuati che vanno in giro in moto ammazzando la gente per diletto (che da Ken Shiro in poi vanno messi per legge nelle ambientazioni post-apocalittiche, eccheppalle), ci sono solo uomini monadi autarchiche che cercano di sopravvivere in un aspro medioevo industriale.
Saltando il meccanismo delle estremizzazioni, l'impatto emotivo è sconvolgente e se non fosse per il personaggio del bambino lo spettatore sbroccherebbe senza avere nessuno con cui immedesimarsi.

Giusto per fare un noioso discorso estetico, questo film non raggiunge mai il grottesco, ovvero quel brutto talmente brutto da essere finto e che in fondo in fondo tranquillizza lo spettatore, che si autoinganna e sta al gioco (come succede in tanti horror). Qui le cose brutte sono asettiche, spietate e crudamente reali.

Homo homini lupus a manetta.

Gli ambienti sono fantastici, tutto è distrutto, polveroso, desolato, dimenticato e grigio. La fotografia è semplice, e in combinazione con l'atmosfera e il fatto che i personaggi siano essenzialmente due crea un grande stato di oppressione quasi claustrofobico.
Uscire dalla sala e trovare un'assolata e affollata piazza cittadina è stato veramente shoccante.

Grandiosi i personaggi, per nulla scontati, non retorici e senza nomi. Il bimbo è talmente ingenuo (che è giusto così) da dare fastidio.

Il film è fatto per trasmettere disagio fino al fastidio, non bisogna aspettarsi il contrario, nemmeno quel falso disagio da horror.

Decisamente la migliore ambientazione post-apocalittica che abbia mai visto. O almeno quella che meglio si allinea con la mia idea di post-apocalittitudine. La lunghissima attesa è stata compensata.

Dopo questa mega sviolinata devo dire che il finale mi ha un po' lasciato perplesso, mi aspettavo qualcosa di più originale.. ora vorrei leggere il libro.

Voto: 9